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Lectio Magistralis del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Università “Fudan” di Shanghai

Shanghai 24/02/2017

 

Illustre Presidente Xu,

Autorità accademiche,

Cari studenti,

Signore e Signori,

sono particolarmente lieto di essere ospite di questa prestigiosa Istituzione accademica e desidero in primo luogo ringraziarVi per l’accoglienza particolarmente calorosa riservata a me e alla delegazione che mi accompagna.

La visita che, su invito del Presidente Xi, sto compiendo, mi sta ponendo a contatto con gli innumerevoli ed affascinanti volti di un Paese che – attraverso i millenni – ha costituito e continua oggi a rappresentare una delle architravi della cultura e della civiltà mondiali.

Una cultura, quella cinese, che – dovremmo sempre tenerlo a mente – l’Occidente ha conosciuto ancor prima dell’epoca dei primi viaggi che hanno caratterizzato l’era che convenzionalmente, in Europa, definiamo “delle grandi scoperte” e che portò alla colonizzazione delle Americhe.

Le civiltà dell’Europa e della Cina sono venute a contatto ben prima.

Si sono incontrate grazie a quella che venne definita la “Via della Seta”, o grazie – più precisamente – alle molte vie che, in un senso e nell’altro, consentivano gli scambi, alimentando il desiderio di sapere e la curiosità reciproca e, con essi, nutrivano una nascente osmosi tra due universi resi lontani da distanze che – soltanto sino a non molto tempo or sono – apparivano – ed effettivamente erano – quasi insormontabili.

Missioni e ambascerie, italiane e cinesi, si sono susseguite, attraversando regni e nazioni.

Le ragioni della geografia hanno contribuito a rendere l’incontro tra questi due mondi – per lunghi secoli – poco più che episodico, affidandolo all’epopea delle grandi imprese navali o commerciali intraprese da viaggiatori divenuti celebri, alcuni dei quali – come sappiamo bene – provenienti dall’Italia.

Questo stato di cose – nell’illusoria convinzione di centralità nel mondo – ha nutrito, per secoli, la curiosità dell’Occidente nei confronti di territori e popolazioni distanti, di grandi ricchezze immaginate, di personalità autorevoli e misteriose, di credo religiosi affascinanti e diversi da quelli conosciuti.

Questa frequentazione – che le difficoltà di comunicazione ostacolavano, anche successivamente – si affievoliva nel tempo, sin quasi a perdersi per qualche generazione, riaffiorando nuovamente sulla scorta di un nuovo grande viaggio, di nuovi oggetti provenienti da queste zone del mondo, di nuovi racconti.

La curiosità, dunque, e con essa l’insopprimibile aspirazione al contatto con popoli “altri”, si accendeva nuovamente.

Di questi episodi, di questi momenti di avvicinamento e comprensione, rimangono vestigia straordinarie, come la stele nestoriana, le memorie di Marco Polo e le traduzioni curate, con amicizia e passione, da Matteo Ricci e Xu Guangqi, di libri considerati fondamentali in Cina e in Europa.

Questo periodico riscoprirsi, questo andamento delle relazioni fra i nostri Continenti, quest’alternanza tra sprazzi di vivo interesse e lunghe pause – quasi momenti di oblio – è un aspetto sul quale conviene soffermarsi. Vale la pena farlo perché ciò può aiutarci non soltanto a meglio comprendere la realtà attuale dei nostri rapporti, ma anche, e soprattutto, a informarne l’avvenire.

Il rischio di “perdersi”, frutto del non comprendersi appieno, del dare per scontata la dimestichezza con l’altro, frutto dell’attardarsi nella sottovalutazione delle effettive posizioni altrui, costituisce un’incognita – attuale e non soltanto potenziale – nelle relazioni tra la Cina, l’Italia e l’Europa.

Non si tratta di un rischio relegato in un passato nel quale la tecnologia non permetteva di “azzerare” le distanze o nel quale la padronanza delle lingue straniere era confinata in un ambito più che ristretto, anzi decisamente elitario.

Si tratta di un’incognita ancora oggi presente, da non sottovalutare.

Le dimensioni del nostro pianeta si sono ridotte, in termini di capacità di comunicazione e movimento: è vero, e compiere un viaggio tra Shanghai e Roma non è più materiale da epopea letteraria, specialmente se preceduto da un viaggio virtuale in rete.

Questo, tuttavia, non è sufficiente: non basta incontrarsi e frequentarsi. Perché non sono soltanto le persone a dover vorticosamente muoversi al ritmo della comunicazione immediata. Non sono soltanto le sfere politiche ed economiche a dover operare in forma collaborativa e sinergica. Non sono soltanto i mercati a dover assicurare una connessione costante tra i nostri sistemi produttivi.

Sono, piuttosto, i nostri universi culturali a dover realmente e costantemente interagire.

Occorre che le “Vie della Seta” si moltiplichino e che le strade del nostro conoscersi – che non è mai abbastanza, mai sufficiente, mai concluso e completamente acquisito – si approfondiscano.

Occorre che la “Seta” dei millenni passati possa essere declinata nei tanti beni – materiali e immateriali – che Cina, Italia ed Europa possono scambiarsi.

Perché i nostri universi culturali possano compiere un’integrazione crescente ed irreversibile occorre costruire una base stabile di colloquio, che possa continuamente rafforzarsi e accrescersi. Occorre che le Istituzioni pubbliche e private dei nostri Paesi – ed in primo luogo quelle accademiche – curino con un’attenzione e una passione rinnovate l’approfondimento qualitativo e quantitativo delle nostre relazioni culturali.

L’Ateneo di Fudan – e sono particolarmente lieto di sottolinearlo – ha compreso appieno tali necessità ed ha conseguentemente intrapreso con convinzione questo cammino, collaborando attivamente con alcune tra le più importanti università italiane.

Gli studenti che sono oggi qui con noi vivono e operano nella modernità di una delle metropoli più attive del mondo e sono naturalmente proiettati verso il futuro, come i loro colleghi cinesi che studiano a Bologna, Roma o Milano.

Sono le nostre comunità di studenti la più sicura garanzia che i nostri Paesi non avranno più occasione di “perdersi”, divenendo anzi sempre più interdipendenti, pur nel pieno rispetto delle caratteristiche dei nostri popoli.

Gentile Presidente Xu,

Autorità accademiche,

Cari studenti,

l’incontro tra i popoli è al centro della mia visita di Stato nella Repubblica Popolare Cinese.

Uno degli scopi del mio viaggio è quello di contribuire a conferire rinnovato impulso, “a tutto campo”, alle relazioni fra i nostri due Paesi.

Un legame consolidato, duraturo e fecondo non può limitarsi alla – pur fondamentale – sfera economica. Essa conserva intatta la sua rilevanza e molto ha contribuito, in particolare in questi ultimi anni, – e contribuisce – a uno scambio e ad una integrazione inediti tra le nostre aziende e i nostri sistemi produttivi, inaugurando una fase nuova e particolarmente promettente delle relazioni economiche e commerciali bilaterali.

Il nostro compito, tuttavia, è ancora più ampio.
Per sottrarre il patrimonio inestimabile delle nostre relazioni alle imprevedibili temperie dei soli mercati, talvolta turbolente, occorre che esse poggino su fondamenta ancora più solide, edificate attraverso sempre più intense relazioni istituzionali e politiche, che auspichiamo possano concretizzarsi anche in incontri periodici al più alto livello di Governo.

Ciò fornirà la cornice entro la quale perseguire ancor più stretti e qualificati legami commerciali, sempre più vivaci scambi culturali e occasioni di confronto tra i nostri stili di vita, che permettano una maggiore integrazione nel nostro stesso modo di pensare e di rapportarci gli uni agli altri.

L’inaugurazione, a Pechino, di una sessione congiunta dei fora culturale ed economico va proprio in questa direzione.
Mi auguro che, negli anni a venire, a questi consessi possano affiancarsene altri, che riuniscano – ad esempio – le eccellenze nei settori della ricerca e dell’innovazione.

Le nostre Università – autentici “motori del sapere” delle nostre società – possono dare un contributo inestimabile in questa direzione, contribuendo a far divenire “sistema” la fitta rete di accordi inter-universitari esistenti, un sistema al servizio dello sviluppo dei nostri Paesi e delle nostre società.

Dobbiamo riproporre una “Nuova via della seta” nella quale questo tessuto pregiato – un tempo fra i beni più rari e preziosi – venga sostituito dalla conoscenza, un bene ancor più prezioso che – a differenza della seta – vorremmo non rimanesse “raro”, bensì sempre più alla portata di tutti, così come deve essere per la conoscenza.

E’ in questo modo che possiamo contribuire a rendere attuale il concetto di “nuove vie della seta”.

Di conseguenza non possiamo che plaudire all’iniziativa cinese “One Belt, One Road”, che costituirà un nuovo, importante asse nelle relazioni fra i nostri Continenti.

Apprezziamo il significato strategico che assume, nell’attuale contesto internazionale, la realizzazione di un percorso che leghi territori e frontiere attraversate, con un nastro di collaborazione e di saperi, abbattendo le diffidenze e ricevendone, a sua volta, stimoli per ulteriori traguardi.

L’Italia parteciperà con convinzione a questo ambizioso progetto, nella consapevolezza che il suo successo si misurerà non soltanto attraverso la capacità di trasferire volumi crescenti di merci in maniera più efficiente e in tempi sempre più veloci.

Esso si misurerà soprattutto per il suo contributo nel rendere Istituzioni, società e cittadini dei diversi Paesi che vi aderiscono più vicini tra loro e più aperti gli uni verso gli altri, anche in termini di idee e di valori, nel rispetto delle tradizioni di ciascuno.

E’ una grande occasione di libertà sulla strada del progresso dell’umanità. L’apertura alla globalizzazione veicolo di diritti e strumento di contrasto alle ingiustizie sociali.

Cina e Italia, Estremo Oriente e Unione Europea possono, insieme, scrivere una nuova pagina di storia, nel momento in cui Est e Ovest, Nord e Sud, contrapposizioni del passato, hanno lasciato il posto ad un mondo multipolare nel quale la capacità di costruire aggregazioni fa la differenza.

E’ di questa “connettività” che abbiamo bisogno, nella consapevolezza – suffragata dall’evidenza storica dell’originaria “via della seta” – che siano le persone il valore più grande, in un flusso di inculturazione reciproca e mutualmente benefica, che può rendere le relazioni fra i nostri Paesi – e i nostri Continenti – sempre più stabili.

Gentile Presidente Xu,

Autorità accademiche,

Cari studenti,

auspichiamo che le nostre relazioni possano poggiare su basi sempre più stabili perché siamo convinti che sia proprio di stabilità che le relazioni internazionali – e non soltanto al livello bilaterale – hanno maggiore bisogno.

Cina e Italia, nella loro peculiarità, sono, da questo punto di vista, particolarmente vicine. I nostri Paesi aspirano infatti ad un sistema di relazioni – a livello globale – basato su una maggiore interazione fra aree economiche, su economie e società aperte e dinamiche, che favorisca la crescita mondiale.

Segnali diversi, quali il rallentamento nella crescita del volume del commercio internazionale, sono percepiti, a Pechino e a Roma, con eguale apprensione.

Una preoccupazione alimentata dal progressivo affermarsi di un clima di minor collaborazione, a livello internazionale, in netta controtendenza con la consapevolezza – che evocavo poc’anzi – di un mondo divenuto “più piccolo”.

Una circostanza, questa, che dovrebbe spingerci, anziché allontanarcene, verso una collaborazione internazionale ancor più intensa rispetto al passato.

I grandi problemi di oggi – le migrazioni, i cambiamenti climatici, una gestione efficiente dell’economia mondiale attenta alle trasformazioni sociali indotte dai cambiamenti demografici – richiedono un rinnovato impegno da parte di tutti gli attori internazionali, nel segno di una maggiore e più proficua comprensione delle sfide, alcune di natura epocale, che insieme ci troviamo a dover affrontare.

Non possiamo pensare – nessuno può farlo – di affrontare problemi così imponenti senza un impegno comune. Né possiamo rischiare che la delicata trama delle relazioni internazionali sia scossa da “guerre commerciali” innescate da azioni e reazioni.

Uno scenario simile non vedrebbe vincitori, ma soltanto sconfitti. E i primi a patirne le conseguenze sarebbero i popoli.

Avvertiamo, piuttosto, la necessità – e il dovere – di procedere in direzione diametralmente opposta.

Sentiamo l’esigenza di una maggiore apertura al dialogo e di un’accresciuta comprensione reciproca.

Soltanto così possiamo pensare di superare le difficoltà di una contingenza economica a dir poco complessa, dalla quale sarà certamente più semplice uscire attraverso un’azione coordinata, piuttosto che a seguito di azioni unilaterali disordinate e frenetiche.
L’esperienza dell’Unione Europea ci conferma che la somma delle capacità dei singoli Stati, messe in comune, è maggiore di quella degli addendi che la compongono.

In questo senso, abbiamo registrato con vivo interesse e con apprezzamento le posizioni recentemente espresse dal Presidente Xi Jinping al Forum Economico di Davos.

E condividiamo, in particolare, l’auspicio di imprimere maggiore incisività ai processi di governance internazionale, in modo tale da renderli adatti a governare una globalizzazione nella quale le diseguaglianze – non soltanto nella dimensione Paesi industriali-Paesi in via di sviluppo, ma anche all’interno di aree omogenee dal punto di vista politico, economico e sociale – rischiano di portare l’ordine globale vicino al punto di rottura.

In questo senso il “multilateralismo efficace” – ovvero un metodo di lavoro mediante il quale affrontare i temi della realtà internazionale passando sempre e prioritariamente attraverso un dialogo costruttivo fra le parti coinvolte – rappresenta un principio che l’Italia non ha mai mancato di sostenere concretamente.

E’ questa l’impostazione che il nostro Paese sta dando alla sua Presidenza del G7 e alla presenza italiana in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Dobbiamo lavorare intensamente, per individuare soluzioni che contrastino le tendenze all’involuzione, alla chiusura, all’unilateralismo.
Il nostro obiettivo non può che essere quello di una più corretta distribuzione del reddito prodotto, di una conseguente riduzione delle disuguaglianze, di uno stimolo della crescita dei Paesi a più debole economia, che consenta, ad esempio, di riassorbire l’altrimenti crescente e inevitabile fenomeno delle migrazioni di massa.

Questi sono gli obiettivi che guidano l’azione dell’Italia nell’ambito dell’Unione Europea e che intendiamo riaffermare, fra poche settimane, a Roma, quando celebreremo il sessantesimo anniversario dei Trattati Istitutivi dell’Unione europea. Nella convinzione che il percorso di integrazione europea ha portato, al nostro Continente, pace, prosperità e diritti in misura e ampiezza inedite nella sua storia.

Cina ed Europa devono sapersi cercare vicendevolmente molto più di quanto non sia già avvenuto, per rapporti economici, commerciali e finanziari sempre più intensi.

Le diverse sensibilità che si riscontrano fanno parte di una dialettica inevitabile, che deve tuttavia preludere costantemente al raggiungimento di soluzioni politiche equilibrate e lungimiranti, basate sul reciproco rispetto.
Il periodo che stiamo vivendo, con le sue innegabili turbolenze, è anche un periodo di grandi opportunità, che Cina ed Europa, operando in favore della pace e della stabilità degli equilibri internazionali, ben al di là dei rispettivi confini, possono senz’altro cogliere.

Illustre Presidente Xu,

Autorità accademiche,

Cari studenti,

I giorni che sto trascorrendo in Cina mi stanno facendo comprendere, ancor più compiutamente, l’ampiezza delle relazioni tra i nostri due Paesi e il loro ulteriore potenziale.

Entrambi si innestano su un passato antichissimo e fecondo.

Ed è su questo passato e sulle nuove Vie della Seta che possiamo costruire un futuro ancor più promettente.

Guardiamo al 2020, cinquantenario delle relazioni diplomatiche tra Cina e Italia e anno di completamento del tredicesimo piano di sviluppo economico della Cina, come una tappa n cui registrare un accrescimento della nostra collaborazione per renderla sempre più ampia verso il futuro.

Per farlo, abbiamo bisogno di impegno e di partecipazione da parte di tutti e di ciascuno.

Voi studenti rappresentate la nostra migliore speranza in un futuro di comprensione, pace e benessere per i nostri Paesi e i nostri popoli.

E’ a Voi, dunque, che mi rivolgo, ricordando il pensiero dell’antico statista cinese Guan Zhong, secondo il quale per il successo di un progetto di un anno occorre fare una buona semina, per un obiettivo di dieci anni, bisogna piantare degli alberi, per un piano di cento anni, bisogna allevare dei talenti. E i talenti siete voi. Questa è la conclusione di questo detto davvero molto saggio di Guan Zhong.

Bisogna allevare talenti, ed è quello che fa questa Università, è quello che fanno tutte le Università, e il loro collegamento accresce la possibilità di formare talenti.

A voi studenti, a voi che siete i nostri talenti è affidato l’avvenire.